12. La notte dei lunghi coltelli

05.12.2013 03:04

Nel tardo pomeriggio andava al villaggio per respirare gli odori ammuffiti della zona vecchia.  Un giorno, passeggiando tra i vicoli profumati di focacce al miele appena sfornate, gli parve di vedere tra le tende del mercato uno con un codino.  Fu un attimo, e gli sembrò di esserselo immaginato. 

 

Louis tornò al bungalow al tramonto.  Si preparò meccanicamente a infilare la chiave nella toppa ma si accorse che la porta era socchiusa.  Strano.  Colette dopo l’episodio di Miami era ossessionata dal pensiero di sconosciuti dentro casa.  Non sarebbe uscita senza dare due mandate al chiavistello. 

Entrò.  Si sentì mancare l’aria.  Non era stata una dimenticanza di Colette.  Le ante degli armadi spalancate, i cassetti sul letto, i vestiti dappertutto, quadri a terra, persino l’orsacchiotto di Johnny gettato in un angolo… l’unico oggetto a posto era il computer, ancora sul tavolo nella posizione in cui l’aveva lasciato. 

Corse alla spiaggia. Forse Colette e Johnny erano lì… magari avevano solo fatto tardi ed in quel momento erano sotto la doccia… o magari Johnny aveva fatto i capricci per una Coca Cola, per la quale era fissato, e si trovavano al bar dello stabilimento… Louis percorse il bagnasciuga avanti e indietro con le scarpe inzuppate. Andò al bar, cercò tra gli ombrelloni, si spinse fino alle barche abbandonate.  Scomparsi.  Si sedette con le spalle appoggiate ad una sedia sdraio con mani sporche di catrame tra i capelli.  Diomio… li hanno presi? Cercavano qualcosa… gli appunti… 

Aveva il cellulare con sé.  Giocò la carta Riccardo.  Riuscì a collegarsi subito.  Bella fortuna...  Riccardo ebbe un’idea.  “La stanza distrutta… il computer.  Hanno lasciato il computer… apposta.”  Louis si alzò e ricominciò a correre. Il sole diventava rosso e scendeva tra le onde.  Ritornò nella stanza, scansò i vestiti sparpagliati e raggiunse il computer.  Le dita gli tremavano. Riuscì ad accendere con difficoltà.  Si collegò ad Internet.  I secondi necessari gli sembrarono eterni.  Cercò di entrare nelle mail ma sbagliò per tre volte la password.  Riuscì ad aprire la posta in arrivo.  C’erano centinaia di messaggi.  Non scaricava la posta da Roma.  Figurati, per non farsi rintracciare... si portò sul messaggio più recente.  Inviato un’ora prima.  Lo aprì.  “Attendi istruzioni”.   Chiuse il messaggio ed esaminò gli altri, alla ricerca di elementi di aiuto o conforto. 

 

Afferrò la sedia stesa sul pavimento, la rimise a posto scostando i panni e si sedette con i gomiti appoggiati sulla scrivania, le gambe larghe e la testa tra le mani.  Dei granelli di sabbia caddero dai capelli in mezzo ai tasti. 

Se qualcuno a distanza di molto tempo gli avesse chiesto come trascorse quelle ore, Louis non avrebbe saputo rispondere.  Apriva le mail ogni tanto.  Le lettere sullo schermo gli sembravano enormi e tremavano.  Pensava che, se gli avessero assicurato che l’Inferno era così, sarebbe stato buono per tutta la vita, pur di finire almeno in Purgatorio. 

Alle due arrivò un altro messaggio.  “Dopodomani sera.  Izmir.  Voyage”.  Samir aveva accennato a questo Voyage, un disco-bar del centro.  Samir ci era andato alcune settimane prima con una bionda con le ciglia finte e un vestito dorato.  Era scappato come un ladro: avevano incontrato l’ex marito di lei che voleva picchiarlo. 

Il resto della notte trascorse per Louis come la sera, senza riposo e cibo.  Cercò di rimanere lucido.  Ricostruì gli avvenimenti dei giorni prima della fuga da Miami, cercando di ricordare ogni dettaglio.  Rivedeva le provette per terra, il pallore di Colette…

Chi aveva fatto scomparire i file? “Qualcuno interessato a sfruttare la scoperta... il dittatore di una Nazione africana? la CIA? Magari l’Homo incognitus ha dei superpoteri letali... potrebbe diventare un’arma da guerra...  chissà che non spari un raggio laser dal pisello... o abbia un peto mortale...  oppure l’Homo incognitus potrebbe essere sfruttato per creare nuovi ibridi…  o una multinazionale… un’industria farmaceutica… nuovi prodotti transgenici… forse si può ottenere uno zucchino tenero quando si mangia e duro quando... o uno scienziato rivale…” 

 

Ricontattò Riccardo, che era sempre lì, disponibile, attento, teso, come se si trattasse della sua, di vita.

“Il Professor Parker ha pensato di essere il primo a scoprire la specie nascosta, ma… se qualcuno l’avesse preceduto? Forse qualcuno conosce la verità, magari da secoli… forse alcuni incognitus hanno creato una setta per annientarci… o magari cercano solo di sopravvivere.  Oppure esiste un’enclave di Homo sapiens... individui che complottano per distruggere l’ignaro Homo incognitus.  Oppure tra le due specie è in corso una guerra occulta... sì... le stragi del passato... Masada... gli Ugonotti... la notte dei Lunghi Coltelli.”

Un altro elemento lo inquietava e lo disse a Richard.  “Perché hanno preso Colette e Johnny?”

“Vogliono gli appunti del Professore."

“Perché? Ne hanno già una copia...”

“Non vogliono sfruttare i segreti dell’Homo incognitus… vogliono soltanto cancellarne ogni traccia.”

“E perché non mi hanno ucciso subito?”

“Forse pensano che tu abbia nascosto dei file.”

“Che fare”, Louis si chiedeva.  “Se andassi alla Polizia?”

“Idea stupida… li ammazzerebbero… inoltre, che gli dici? Mi scusi, signor Commissario, sono inseguito da tipacci che vogliono farmi fuori perché ho scoperto una nuova specie… sì, signor Commissario, una nuova specie... la sua vicina é un’aliena! …non ti resta che andare all’appuntamento...” 

Louis lasciò Riccardo.  Era sicuro che, una volta consegnati i file, lui e Colette avrebbero fatto la fine di Parker. Per lui e Colette non c’era scampo.  Doveva tentare almeno di salvare Johnny. 

 

Gli venne in mente un’altra possibilità.  Agghiacciante.  Richiamò subito Riccardo che era lì attaccato allo schermo.  “Se il Professore si fosse sbagliato su Norman e Mary? Se i veri incognitus fossimo noi?  Colette, Johnny ed io stesso?”

Gli sembrò ragionevole. “Qualcuno vuole preservare gli incognitus, cioè noi.  Questo spiega perché noi non siamo ancora vivi, mentre il povero Raymond…”

Maledizione… proprio adesso che non  aveva più nemmeno un file, ne avrebbe avuto più bisogno.  Ripensò agli scienziati ai quali si era rivolto il Professore prima di morire.  Il biochimico… Grimm… forse lui conservava qualche prelievo di Homo incognitus… oppure Thompson, o magari il genetista Richards, o Osborn.  Richards… Sì… sì.

Salutò Riccardo, spense l’iphone, si sedette e guardò nello schermo nero, con le mani disposte sulle labbra come in preghiera. 

 

Si era fatta l’alba.  Rimise a posto la stanza  e preparò le valigie.  Comprese quelle di Colette e di Johnny.

Salutò Akan con una scusa.  Samir lo avrebbe convocato d’urgenza a Smirne.  Colette e Johnny erano partiti la sera precedente.  Akan lo accompagnò alla stazione degli autobus e mentre la corriera si allontanava lo salutò con un cenno. 

Louis raggiunse Smirne nel pomeriggio.  Portava le tre grandi valigie.  Decise di andare da Samir.  Cercò un taxi.  Ricordava il nome del quartiere ma non l’indirizzo.  Dopo alcuni giri a vuoto e le bestemmie del tassista, Louis  riconobbe il palazzo di Samir e si fece lasciare all’entrata. Salì le scale, arrivò al secondo piano e si fermò davanti alla porta.  Bussò due o tre. Nessun rumore dall’interno.  Si guardò attorno.  Nessuno sul pianerottolo.  Forzò con un calcio la serratura. 

La porta si spalancò e Louis si trovò nel soggiorno.  Aveva dormito lì soltanto sei sere prima.  Anche Johnny e Colette erano stati lì, a pochi metri da lui… gettò lo sguardo verso la stanza di Samir sperando di svegliarsi da un sogno e di ritrovare i suoi cari addormentati nel letto. Si sbagliava.  Guardò all’interno.  L’incubo continuava.  Peggio di prima.

Samir era sul letto.  Il sangue ormai raggrumato era colato per i fianchi fino al pavimento.  Gli occhi  rovesciati verso il soffitto.  Le mani che ricordava così guizzanti penzolavano ai lati, come se fossero distese a prendere il sole.  Le mosche formavano una poltiglia nera sull’addome, dove si intravedeva un oggetto incastrato nella ferita. 

Louis quasi vomitava.  Attraversò il soggiorno inciampando nel tavolino, afferrò le tre valigie e scappò giù.  S’infilò in un taxi che trovò per  caso,  ma non si sentì per questo particolarmente baciato dalla sorte.  Si fece portare in un albergo al centro, tanto ormai era inutile stare nascosto.  Era stato beffato.  Con semplicità.  Gatto, topo. 

Mentre si strofinava sotto la doccia aveva tetri pensieri e la speranza era un filo sempre più sottile. 

Parlò con Riccardo.  Era così disperato che non pensava che stava mettendo a rischio anche Avenario.  Riccardo aveva certamente messo in conto il pericolo ma non sembrava farci molto caso.

Nel pomeriggio Louis prelevò dai suoi bancomat e da quelli di Colette e fece acquisti.  Quando scese l’oscurità, gli edifici si trasformarono in giganti.  La loro ombra si proiettava sulle strade ancora brulicanti di gente frettolosa.  Tornò in albergo e cercò di riposarsi.