21. Il Congresso di Vienna

04.12.2013 12:11

Gennaio 2015.  Milano. 

In quei mesi Riccardo e Gianni erano una sola cosa, Riccardo e i campi di gauge erano una sola cosa.  Anche Fierabene e Macchi erano diventati una sola cosa, ma di questo ci interessa molto meno. 

Con Gianni andava bene.  Ferrari rinunciava a stuzzicarlo e lo prendeva così com’era, in blocco.  Parlavano poco perché non ce ne era bisogno.  Ridevano molto.  Con lui Riccardo poteva persino scorreggiare nel letto. 

 

“Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo”, pensò Avenario leggendo la risposta di quelli di Journal of Nature.  Era il settembre 2015.  Stavolta lo pubblicavano.  Respinse alcune correzioni minori suggeritegli dai revisori.  Erano correzioni ragionevoli, a dir la verità, ma era una questione di principio.  Riccardo non volle sentire ragioni, nemmeno dal Professor Macchi in persona, che pure ci provò a farlo ragionare.  “O lo prendono così, o lo pubblico da un’altra parte”.  Puntò i piedi come un bambino davanti al carretto dei dolci ed ebbe la sua dolce stecca di soffice zucchero filato

 

Ottobre 2015. Vienna. 

Al Congresso Internazionale di Neuroscienze il Dottorando di Ricerca Riccardo Avenario parlò in seduta plenaria, munito per una volta di giacca e cravatta d’ordinanza.  Gli stavano bene.  Come previsto, ci fu un attacco dopo l’altro.  Contro ogni precedente, il moderatore fu costretto a dilatare la discussione dal quarto d’ora previsto a più di un’ora.  Tutti alzavano la mano, giapponesi, tedeschi, indiani, pachistani, statunitensi, francesi.   Almeno in qualcosa Riccardo era riuscito: aveva messo d’accordo i popoli.  Li aveva coalizzati contro un solo uomo, lui, l’eretico. 

Avenario ribatté punto su punto e ne convinse molti.  Se la cavò abbastanza bene, ma, si è capito, il terreno della polemica, anche la più sterile e stupida, era sempre stato il suo preferito.  Non si sentiva a casa sua, poiché persone come lui sono straniere dovunque tranne che con Gianni, ma era comunque a suo agio.  Conviene riassumere la relazione.  Il cervello, contrariamente a ciò che si pensa, non unisce, bensì separa le sensazioni che gli arrivano dall’esterno, spezzettandole nei suoi costituenti.  Avenario fece un esempio che capirono solo i giapponesi e gli italiani: così come Michelangelo scolpisce la pietra grezza per tirar fuori da essa la forma desiderata, così il cervello elimina il superfluo dal mondo vago ed indistinto che raggiunge i nostri sensi e ne estrae un messaggio, concentrando gli aromi come quando si fa un buon caffè.  Non sarebbe possibile il contrario: se il cervello conservasse tutti 10 milioni di bit che l’occhio gli trasmette ogni secondo, friggerebbe come un uovo in padella.  È costretto a selezionare solo poche informazioni, cioè quelle che riconosce come utili. 

Sin qui aveva fatto indignare la metà dei congressisti.  Per non farsi mancare l’astio della restante metà, Avenario la sparò ancor più grossa.  Un bisbiglio continuo come un’onda cerebrale partiva dalle poltrone.  Solo Macchi sorrideva tra i denti. 

“Una scoperta come questa ha importanti implicazioni nel campo delle scienze sperimentali.  Gli scienziati contemporanei seguono ancora i metodi di Galilei e Newton.  La scienza osserva i singoli fenomeni ed estrae da essi le leggi generali.  Si tratta di una procedura che ha regalato tanto alla scienza, ma è un pò vecchiotta.  C’è bisogno di qualcosa di nuovo.  Noi proponiamo un meccanismo capovolto nella ricerca scientifica: prima la sintesi, poi l’analisi.  Il primissimo stimolo che arriva al nostro cervello è un «complesso di sensazioni». La scomposizione nei singoli elementi avviene soltanto dopo, e per giunta con un grande sforzo intellettuale.  L’analisi non esiste in natura, è solo il mezzo usato dagli scienziati per cercare di capire il mondo.  Compito della scienza è di quantificare, dare un numero alle sensazioni. 

La stampa vuole slogan, e allora diamoglieli:

«la mente non astrae, bensì estrae»!

«il cervello non integra, ma disintegra!».” 

La sala bisbigliava. 

“Cari colleghi, inizio a divagare, ma si pensi anche alle implicazioni sociali.  L’internauta estrae dal Web poche informazioni mediante i «mi pace» ed i Tag e crea un suo universo personale.  La pluralità assume così un’importanza decisiva nello sviluppo della società.” 

Qui però fu fermato.  Il brusio era diventato lo scroscio del fiume.  Sì, il fiume.  Proprio lui.  La pozzanghera l’aveva fatto incazzare.  Stava tracimando per ricoprirla.  Le favole non esistono.  Quando il bambino finisce lo zucchero filato, le mani gli restano appiccicose e gli vengono le carie.