22. L’Apocalisse di Giovanni
Novembre 2015. Milano.
Non ci fu niente da fare. Non ci fu un servizio meteorologico che preannunciasse l’arrivo di Katrina.
Quando ebbe la telefonata stava visitando una paziente colpita da infarto e gli fu difficilissimo rimanere lucido. Dovette continuare la visita con calma innaturale. Un’apnea infinita. Appena si fu liberato corse in Rianimazione. Lui era lì, incosciente, livido, i tubicini nella carne. Riccardo gli tenne la mano per dodici ore, immobile come lui, poi gli mise gli anellini, gli aggiustò meglio la ciocca e lo lasciò andare. Gli restava un profumo sulle mani.
Gianni aveva avuto una crisi epilettica, devastante quanto un tifone sulle Filippine. La diminuzione delle medicine era stata un errore fatale. Riccardo ricordava di averci provato, ma Gianni diceva di sentirsi bene e non sentì ragioni, voleva sospendere tutte quelle pillole. Si era stancato di loro, le sue migliori amiche sin da quando aveva ventisette anni. Diceva: basta, voglio provare senza, adesso che il tuo raggio mi ha ridato un desiderio. Al funerale c’era una folla più numerosa dei segnati nell’Apocalisse. Del Centro non c’era nessuno. In prima fila la mamma curva di Gianni, più livida del corpo del figlio, sosteneva col braccio nero Riccardo.
La potenza di Macchi, le amicizie di Fierabene e qualche bustarella riuscirono con fatica a sterilizzare lo scandalo dell’«evento avverso». Così fu chiamato d’ora in poi nelle pubblicazioni.
Dicembre 2015. Catania.
Riccardo Avenario, coi piedi penzoloni giù dalla balaustra di legno, guardava in controluce i riflessi del sole sulle nuvole.
Non era riuscito a salvare Gianni. Ma almeno Colette sì. Non la vide mai più, però continuava a seguirla di nascosto su Facebook.
Ricordò quando nel 2007 aspettava in quello studio in mogano dalle pareti in broccato. Meraviglioso. E di quando arrivò quell’uomo alto e sicuro di sé. Era a Miami ed aveva un appuntamento col Professor Raymond Parker, conosciuto via mail. Ricordò la faccia di Parker quando gli illustrò la sua teoria, la teoria di Avenario, la teoria dell’Homo incognitus. Ricordò di come Raymond entusiasta volle iniziare subito gli esperimenti. Avenario non avrebbe mai lasciato un lavoro sicuro per trasferirsi a Miami dal vecchio Prof. Gli dava indicazioni da lontano, sempre più distratto. Per Riccardo così triste, così indifferente l’Homo incognitus era un gioco come tanti nella personale ricerca del nulla. Zucchero filato. Avenario passò ben presto allo studio del cervello e si limitò a supervisionare gli esperimenti di Parker. Sempre e comunque da lontano. Tanto, per la sua mente non ci potevano essere confini.
Invece per Raymond, soprattutto dopo la morte così dolorosa di Hilde nel 2008, l’Homo incognitus divenne un’ossessione. Avenario ricordò che il 4 gennaio 2012, non scorderà mai quella data, ricevette la mail di Parker mentre era a Milano. Una nuova scoperta. Inimmaginabile. Riccardo lasciò il suo raggio e corse a Miami. Ricordò le parole di Raymond appena lo vide. Anche i maschi della specie Homo incognitus hanno il simbolo di Tanit sul pube, non solo le femmine. Ricordò che si guardarono in faccia e poi più giù, e per una volta nessuno dei due ebbe qualcosa da dire. Loro, Riccardo e Raymond, ce l’avevano. Loro, Riccardo e Raymond, erano Homo incognitus. Ricordò che quella sera si ubriacarono a whisky, che a Riccardo nemmeno piaceva. S’immaginarono rinchiusi in un Carcere Speciale, dopo che gli agenti della Sezione di Sicurezza Nazionale avevano fatto loro il test. Marchiati e castrati, sarebbero stati rinchiusi in quel posto orrido. Morti e sepolti agli occhi di tutti. In attesa del loro turno. Prima o poi sarebbero stati sacrificati, sull’altare non dei Maya, ma della scienza.
Ricordò che decisero insieme di non divulgare la notizia. Con dolore. Riccardo sarebbe tornato al suo raggio a Milano e faceva finta di non dispiacersi, ma per Raymond era diverso. La delusione, mescolata con una fede religiosa già da qualche tempo ai confini del delirio, gli fece superare il limite. Diventò pericoloso. Avrebbe fatto qualunque cosa per bloccare la notizia. Nel 2013 era sempre più potente e incontrollabile e Riccardo non riusciva ad esercitare la sua influenza come prima. Ricordò che aveva deciso di provare a salvare almeno Colette. Non la vedeva da dodici anni, ma lei ogni notte entrava nei suoi sogni, quando le difese della mente erano abbassate. Teneva ancora a lei, più di quanto avrebbe mai ammesso a se stesso, più di quanto tenesse a se stesso.
Quando il Professore lo informò che Louis e Colette stavano scappando a Roma, Riccardo cercò di tranquillizzarlo. Gli disse che lui stesso avrebbe provato a convincerli. Di persona. In realtà lo stava ingannando. Voleva solo aiutare i Robinson, Colette, a rimanere viva. E rivederla un’ultima volta.
Riccardo sempre coi piedi penzoloni prese il vecchio taccuino di Raymond ed inizio a sfogliarlo. Osservò senza guardarle le riproduzioni di Mondrian e Van Gogh sulla copertina ingiallita e si perse nelle linee astratte di Mondrian.
Lesse. E pianse.
Aveva vinto… Colette era viva. Aveva vinto. Allora perché piangeva? Erano quasi tre lustri che non piangeva così. E ancor prima quando a cinque anni era stato rinchiuso nello sgabuzzino. Aveva aperto il frigorifero e si era attaccato alla bottiglia di vino. Rosso. Molto buono. La mamma era entrata mentre chiudeva lo sportello, aveva sentito l’alito e lo aveva punito. Si rivide bambino. Sorrise. Tutto così bello, da bambini! l’allegria che si nutre di se stessa… i sogni che frizzano… come bollicine… poi... tutto distrutto dal peso della vita, dalla routine, dalla morte annidata nel petto come il mostro bavoso di Alien. Chi ha detto che la vita è bella? La bellezza dei paesaggi? L’incresparsi delle onde? Ma vaffanculo! E i vermi che stanno succhiando la lingua dei poveretti trucidati dal mito dell’Homo incognitus? E il dolore di un amore, quello per Gianni e Colette, massacrato da se stesso? E un lavoro di merda inseguendo sogni grotteschi? Bah... è tutto una grossa e calda chiazza di vomito, nella quale ci rivoltiamo beati come maiali…